Farina

Farina: caratteristiche, forza, raffinazione e additivi.

L’evoluzione dell’industria molitoria ha portato all’ottenimento di vari tipi di farina: di grano, di mais, di ceci, di soia, di castagne, le miscele di farina e altre. Tutti questi sono prodotti differenti che hanno caratteristiche differenti, e che possono rispondere a varie esigenze culinarie.

Per cercare di capire come orientarsi, bisogna partire dalla definizione del termine “Farina”: generalmente con questo nome ci si riferisce alla farina di grano tenero (Triticum aestivum), mentre nel caso della farina di grano duro (Triticum durum) si utilizza il termine semola. In linea generale, possiamo dire che la farina di grano tenero è usata per prodotti come il pane e la pizza, mentre la semola è usata per ottenere la pasta.

Secondo il DPR (Decreto del Presidente della Repubblica) 187/2001 si definisce farina di grano tenero, “il prodotto ottenuto dalla macinazione e conseguente abburattamento del grano tenero liberato dalle sostanze estranee e dalle impurità”. Mentre per quanto riguarda il grano duro si chiama semola di grano duro, o semplicemente semola, “il prodotto granulare a spigolo vivo ottenuto dalla macinazione e conseguente abburattamento del grano duro, liberato dalle sostanze estranee e dalle impurità.  La legge non fornisce indicazioni per quanto riguarda le farine ottenute da altri cereali o leguminose.

Le caratteristiche importanti nella scelta di una farina sono due:

  • L’abburattamento, comunemente chiamato raffinazione;
  • La forza.

Il termine “Raffinazione” nel linguaggio comune per l’abburattamento non deve spaventare.  Questo, infatti, è il processo di setacciatura graduale del grano macinato per ottenere farina di diversa finezza: si ottiene la separazione meccanica (non si usano sostanze chimiche) delle varie parti del seme del grano (crusca, embrione ed endosperma). Il tasso di abburattamento, può essere definito come la quantità di farina ottenuta dalla macinazione di cento chilogrammi di grano. In altri termini, rappresenta la percentuale di chicco utilizzata per una determinata farina. A secondo del tasso di abburattamento le farine di grano tenero si distinguono in cinque tipi: “00”, “0”, “1”, “2” e integrale. In quest’ordine, i diversi tipi di farina presentano una quantità di crusca e germe via via crescente: la farina di tipo “00” è la più raffinata (si ricorda che tale termine non fa riferimento a processi chimici) e proviene dalla parte più interna del chicco di grano; quella di tipo “2” è la più simile alla farina integrale grezza, quest’ultima contiene tutte le parti del chicco macinato.

Ma da un punto di vista nutrizionale cosa cambia?

Per risponde a questa domanda, vengono riportate le tabelle nutrizionali delle farine di tipo 00 e integrale.

Farina 00 e Farina integrale
Farina 00 e Farina integrale

Sintetizzando queste tabelle, possiamo dire che:

  • Proteine: la farina 00 ne contiene 11 g su 100 g di farina, la farina integrale ne contiene 11,9 g;
  • Lipidi (grassi): la farina 00 ne contiene 0,7 g , la farina integrale ne contiene 1,9 g;
  • Carboidrati: la farina 00 ne contiene 77,3 g, la farina integrale ne contiene 67,8 g;
  • Fibra totale: la farina 00 ne contiene 2,2 g, la farina integrale ne contiene 8,4 g;
  • Energia: la farina 00 possiede 340 kcal, la farina integrale possiede 319 kcal.

Un problema è che spesso i prodotti promossi nelle pubblicità o sulle etichette come “Integrali” non sono fatti con vera farina integrale, la quale contiene tutte le componenti del chicco (tra cui la crusca e i suoi sottoprodotti, cruschello, tritello e farinaccio), ma sono fatte con semplice farina bianca addizionata con crusca. Questa però non contiene il germe di grano, facilmente deperibile, ma ricco di proprietà nutritive. È indispensabile quindi controllare con attenzione gli ingredienti elencati in etichetta e le informazioni nutrizionali, accertandosi che sia specificato che si tratta di “Farina di grano tenero integrale” o “Farina di frumento integrale”.

Passando all’altra caratteristica importante, si definisce come forza la capacità di assorbire i liquidi durante l’impasto e di trattenere l’anidride carbonica durante la lievitazione. Una farina forte assorbe molti liquidi durante l’impasto e mantiene bene il gas (anidride carbonica) prodotto durante la lievitazione, dando prodotti voluminosi e con mollica ben sviluppata. Una farina debole invece assorbe poco e forma una massa di glutine ridotta che durante la lievitazione trattiene meno gas, creando prodotti meno voluminosi e con mollica meno sviluppata. Per esempio per fare i panettoni o il pane  serve una farina più forte, mentre per grissini o i biscotti ci vogliono quelle deboli che danno una mollica più consistente, e una crosta più spessa. Questo parametro viene misurato con l'”Indice di forza” (W):

  • Farina forte: W uguale o superiore a 300 W;
  • Farina debole: W inferiore ai 200 W.

La forza delle farine dipende, principalmente, dal quantitativo di proteine e dalla loro qualità.

A volte sulle confezioni si trova la dicitura “Farina macinata a pietra: un procedimento tradizionale che non permette di ottenere farine molto raffinate. In questo caso la grana è più irregolare e la macinazione a bassa velocità limita il riscaldamento del prodotto, il che dovrebbe contribuire a mantenere intatte le proprietà nutrizionali. In realtà oggi esistono procedimenti industriali di macinazione (le cosiddette macine a cilindri  a bassa velocità) che permettono di ottenere gli stessi risultati.

Le farine inoltre possono contenere additivi come E 338 – 452 (Acido fosforico, fosfati, di-, tri- e polifosfati), E 300 (acido ascorbico, cioè la vitamina c) ed E 920 (L-cisteina, è un amminoacido). I primi, sono una categoria di agenti lievitanti, e sono fissate le quantità massime consentite (2500 mg/kg o 20000 mg/kg per la farina autolievitante), mentre gli altri additivi aumentano la forza (vitamina C) o la diminuiscono (cisteina).

Oggi si parla molto di varietà antiche in uso fino a 50 anni fa, di grano duro come il senatore Cappelli. Si tratta di varietà che hanno il fascino dei tempi passati, ma la loro utilità è soprattutto ambientale o economica per la rivalutazione di un’area geografica, oltre al discorso legato alla biodiversità, mentre non ci sono particolari caratteristiche in termini nutrizionali o di allergeni. Lo stesso vale per altre varietà di grani antichi come il grano Tumminia e il grano Saragolla (Triticum turgidum durum), una varietà italiana molto simile al Khorasan (Triticum turanicum), il cui nome riporta alla regione iraniana dove fu descritto nel 1921. Oggi il grano Khorasan è forse più noto con il nome di Kamut®, che è semplicemente il marchio commerciale americano che lo produce.

I veri grani antichi sono altri, come il farro (Triticum dicoccum) e la spelta (Triticum spelta). Soprattutto il primo, noto per essere alla base dell’alimentazione delle legioni romane, è il più antico cereale coltivato, antenato dei diversi tipi di grano. Il farro ha buone proprietà nutrizionali e contiene glutine, anche se in misura minore rispetto ai grani moderni, ed è quindi inadatto per i celiaci così come la segale (Secale cereale). Chi soffre di celiachia, per gli altri non c’è motivo di evitare il glutine, può comunque ricorrere a cereali che non ne contengono, come mais, riso, miglio, o a pseudocereali come grano saraceno e la quinoa. 

 

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